RIMINI – Luigi Odello nel comparto del caffè significa anche tante sigle e molti incarichi. Ma, in questo caso, non parliamo di Inei o di Iiac, di grappa o di altro ancora. Parliamo invece dei Narratori del gusto. Perché, come si sente dire in giro “Stanno diventando sempre più il propulsore di un’unificazione di scuole di caffetteria e forse, in prospettiva, ancora di più.”
L’unione del turismo e del cibo
Spiega Luigi Odello: “I Narratori del gusto nascono come organismo che unisce il turismo al food. Quindi è trasversale a tutte le merceologie. Nascono dall’idea di un direttore di un ente del turismo, quello Langhe-Roero, Mauro Carbone, insieme al direttore di Agricamera di Roma. Il primo rappresentava l’agri food e l’altro il turismo. L’idea era quella di fare una narrazione innovativa”
E aggiunge convinto: “Le scuole di caffetteria sono importanti perché per valorizzare il prodotto caffè bisogna cominciare a narrarlo. E la narrazione deve essere portata al bar. Perché la qualificazione del prodotto passi tramite un ambasciatore che è il barista. Quindi il caffè assieme al vino e ad altri prodotti è stato sostanzialmente il primo ed è quindi uno dei precursori in questo campo. Oggi i Narratori del gusto contano già 230 soci. Di cui 130 sono aggregati. Ovvero sono aziende che a un certo punto credono in questo tipo di comunicazione innovativa.
Si tratta di effettuare il cambio: dal sommelier che fa girare il vino nel bicchiere a un professionista che chiede al consumatore che cosa lui abbia percepito spiega il perché in quel determinato prodotto c’è quel determinato . È quindi un cambio epocale a ben vedere.”
E l’espresso?
“Nel caffè abbiamo avuto tante cose che si sono modificate negli ultimi 30 anni. Sostanzialmente manca proprio l’innovazione nel comunicare la tazzina del caffè. Quindi per fare un salto di qualità nei confronti del pubblico è necessario svoltare con la narrazione.”
Che cosa ne pensa del gran numero di scuole di caffetteria
“Non sono quasi in nessun caso polemico: le scuole non sono mai tante. Quando Cavour è diventato il primo ministro in Piemonte, come prima cosa ha mandato le persone a scuola. Il progresso sta proprio nella formazione.
Per fortuna il mondo del caffè è il secondo polo dopo quello del vino come scolarizzati del gusto. E ciò è avvenuto negli ultimi decenni ed è un movimento bellissimo. Il fatto che poi un’azienda si fregi di aver un’accademia, deve però supportarla con i mezzi che ne garatiscano la qualità. Come per prima cosa assicurarsi della qualificazione dei docenti. Poi, il gradimento da parte degli studenti per vedere se hai risposto alle loro attese.
Lungi da me di andare a dire che le scuole siano troppe. Da parte nostra piuttosto il discorso è: qualifichiamo le scuole. Le aziende non sono degli enti di formazione. Hanno però sentito questa esigenza formativa e hanno tentato di rispondervi. Ma anche loro, una parte di loro, dovrebbero essere formata per svolgere questo lavoro.”
Che futuro aspetta i Narratori del gusto
“I narratori del gusto per il 2019 hanno un progetto che si chiama 5 al quadrato. Quindi 5 strumenti per 5 aree di attività. Per intenderci un’area è quella dell’hospitality. Che non vuole dire avere delle camere dove fare dormire gli ospiti, ma prevedere dei percorsi che parlino. Un museo. Uno che parla mentre la collezione è un affare tuo, che sta lì. Dunque percorsi museali che interagiscono con il pubblico. Sono attività multi sensoriali in cui lo spettatore coinvolge tutti i sensi: tocca, annusa, vede, sente, si fa un’esperienza.
Un’altra parte riguarda il perfezionamento proprio della narrazione attraverso la percezione. Utilizziamo il costruttivismo come modello formativo. Ciò implica anche una maggiore preparazione dei docenti. Quindi abbiamo anche tutta la formazione del trainer. Questo per dire dei due temi principali del 2019.”
Un futuro ancora più lontano, sul medio periodo?
“Vedo la valorizzazione delle competenze. Secondo me oggi l’Italia ha delle autenticità che vengono spiegate male. A partire proprio dal caffè. Solo negli ultimi anni ad esempio, è comparsa tra alcuni i torrefattori la spiegazione della miscelazione.
La miscela che poi è la vera arte italiana sulla quale si basa l’espresso italiano. Poi, possono esserci tanti altri tipi di espresso. Lo abbiamo anche discusso a livello di Comitato italiano del caffè con il quale siamo arrivati ad un documento finale. Ma il nostro concetto resta quello di dire che la miscela nasce da un’arte anche stimolata dalla povertà.
Dalla nostra difficoltà di approvvigionamenti. È dunque la sublimazione dell’ingegno. Ma va spiegata senza chiudersi nella reticenza nel dire che cosa c’è nella miscela. Senza paura di esser copiati dagli altri. Perché non è che qualcuno copi per aver letto che si usano determinate origini o hai dichiarato come hai torrefatto. Questa è narrazione.”
Un parere su Starbucks Reserve Roastery a Milano
“Fantastico. Quando ho rilasciato l’intervista al New York Times, ho detto che era la cosa più bella che potesse succedere in Italia. Perché questo vuole dire essere stimolati, capire, allargare gli orizzonti.”
E il rischio che Starbucks ci rubi l’espresso?
“L’Italian sounding fa davvero tanto male all’Italia? Sì, perché siamo un po’ fermi e non sappiamo sfruttarlo. È eventualmente una nostra responsabilità. Quelli li ci emulano ma l’autentico siamo noi. Ma non lo diciamo. In realtà Starbucks ci apre una pista che noi però non percorriamo.”
A Shanghai, Tokyo, Chicago presto a New York prevale l’impressione che il vero espresso sia quello di Strabucks…
“Non sono tanto dell’idea che sia soltanto suo. Se andiamo a vedere la diffusione, la portata del marketing sì, ma noi dobbiamo pensare che in Asia sono più di 3000 gli allievi all’anno che vengono a conoscere il vero espresso italiano.
Starbucks ha dei mezzi che noi non abbiamo. Ma nel nostro piccolo, facendo un rapporto tra mezzi e risultati, riusciamo a fare molto più di lui considerando il rapporto mezzi/risultati. E lo facciamo meglio. Strarbucks ha 3.500 locali in Cina? Vuole dire che là l’interesse è enorme e noi non lo soddisfiamo.”
E’ colpa nostra?
“È sicuramente colpa di una certa visione. Anche perché per diversi motivi che sono facilmente comprensibili i nostri corsi in Asia hanno dei costi superiori rispetto all’Italia. E loro hanno stipendi molto più bassi. Il loro sforzo di formazione quindi è molto più elevato.”
Quello di Starbucks è uno scippo del nostro espresso, un clone?
“Non sono d’accordo che Starbucks abbia scippato qualcosa. Questo è il concetto di base. Starbucks ha trovato un modello vincente. L’ha preso e l’ha valorizzato nel mondo. Se noi non siamo riusciti a fare altrettanto non possiamo lagnarci di lui. Dobbiamo lagnarci di noi.”
Cosa dobbiamo fare?
“Bisogna fare sistema. Ma per farlo è necessario che le persone si incontrino e abbiano capacità relazionali, la mente aperta e la capacità di far crescere una torta. Perché solo così facendo la fetta si allarga.”
I narratori del gusto vanno in questa direzione?
“Sì. La cosa bella è che, essendo inter merceologici, possiamo contaminare i successi di un settore con quelli degli altri.
Ad esempio molte aziende vinicole nostre associate, scambiano i loro nominativi di probabili importatori con i torrefattori. È forse la cosa più bella ma non programmata dei Narratori del gusto. La contaminazione tra diversi reparti del food è utile per andare avanti insieme. Magari due torrefazioni fanno difficoltà ad affrontare insieme un mercato. Più facile un costruttore di macchine e un torrefattore. Ma un vinicolo con un torrefattore può andare benissimo. Il gelato con il caffè è perfetto. Per affrontare più facilmente il mercato.”
Il Disciplinare del caffè e il riconoscimento Unesco: come andranno a finire questa due vicende italiane?
“Partiamo dal Disciplinare. Sono due cose diverse. Io sono abituato a pensare, sin da quando ero consulente italiano a livello internazionale della vite e del vino, che quando si arriva a concertare un qualcosa da più punti di vista, si arriva a un compromesso. Prima non esisteva, oggi abbiamo finalmente una base normata sulla quale possiamo discutere costruire qualcosa d’altro.”
Nel Disciplinare non si parla però, dicono, di acqua
“Chi lo afferma magari non conosce neppure gli effetti in maniera dettagliata dell’acqua sul caffè. Non si parla di tante cose. Ci sono oggi dei metodi che stiamo portando avanti con una decina di Università in Italia, che sconvolgeranno quella che è la conoscenza della tazzina. Quindi, quando parliamo di una regolamentazione che si basa su caratteristiche fisico-chimiche, perché così è nato il nuovo disciplinare, ci vuole innanzitutto ricerca. Il mondo del vino, inferiore rispetto a quello del caffè in termini di business, ha una decina di volte di ricerca in più. Non dimentichiamo mai questi particolari.”
Il riconoscimento dell’Unesco, se ci sarà, porterà dei vantaggi?
“È un’idea bellissima. Innanzitutto a partire da noi italiani. Perché finalmente c’è una bandiera, un sentimento comune. Una difesa di qualcosa che è nostro. Io non vorrei vedere sempre ciò che noi facciamo sotto il punto di vista del marketing. Ma come qualcosa che lasceremo ai nostri figli e anche ai nipoti.
Perché i turchi, con il loro caffè, hanno ottenuto questo riconoscimento Unesco in pochi mesi?
“Perché è partita come un’iniziativa governativa. Mentre la nostra è più che altro privata e questo allunga i tempi. Inoltre i turchi sono partiti in tempi nei quali non c’era l’affollamento di richieste che c’è oggi.”
Se ci sarà questo riconoscimento porterà dei vantaggi all’espresso italiano?
“Sì. Indirettamente correlati con la capacità che avranno le aziende di sfruttarla. Sarà qualcosa al servizio dell’espresso italiano quindi del Paese.”