RIMINI – Alla base del movimento dei Campionati baristi c’è proprio Andrea Lattuada. Che è anche architetto, ma lo sanno in pochi. Ora nelle vesti di organizzatore, in anno lontani concorrente anche di una finale mondiale. E che è ancora in gara dopo ben 17 anni e al Sigep con concorrenti preparati dalla sua 9bar.
Andrea, sempre animo di combattente, è soprattutto un pioniere nel settore nell’ambito della formazione. E’ stato infatti il primo, assieme a Roberto Pregel, a pensare di aprire l’accademia del caffè 9bar. Quando di scuole di caffetteria neppure si parlava.
Andrea Lattuada ancora non molla
“Oggi nel 2019, sono cambiate forse troppe cose. In positivo però. Questo movimento ha giovato a tutto il mercato del caffè in Italia e i numeri lo confermano. Anche questo Sigep è cresciuto grazie al caffè: nel 2002-2003 c’era solo mezzo padiglione per questo prodotto e oggi invece ce ne sono 4 e mezzo.
Il settore quindi ha cominciato a seguirci con più attenzione, prima con un po’ di cautela e poi col tempo, coinvolgendo tanti produttori di macchine.”
Per quale motivo?
“Oggi è proprio il mondo a richiederlo. Noi italiani ci avviciniamo sempre un po’ con sospetto, ma poi ci buttiamo a capofitto. E a quel punto facciamo anche meglio degli altri, perché abbiamo voglia di emergere anche attraverso l’espresso. Per tornare ad essere un Paese vincente a livello mondiale.”
Andrea Lattuada, re del palcoscenico del Campionato italiano barista, costruito su misura da lui stesso
“Mi sono occupato in effetti anche della direzione tecnica e artistica. Da casa si assiste alla gara attraverso uno schermo, ma la macchina e il lavoro che sta dietro, è pazzesco. Sono di supporto persino al presentatore Thomas Centaro. Una volta ero io la persona con il microfono in mano, oggi per un evento di questo livello, ci siamo rivolti a un professionista.”
Dieci titoli per 9bar
“E’ un ottimo risultato per noi di 9 bar, che possiamo vantare ben dieci vittorie al Campionato italiano barista. Questo significa che ci divertiamo ancora e che le persone che scelgono di formarsi con noi, con i nostri corsi, con i nostri metodi, esprimono la loro professionalità. Nel credere in un sogno condiviso, che possa realizzarsi anche per la nuova generazione di baristi che vogliono affermarsi a livello nazionale e internazionale.”
Lei e Mariano Semino avete disseminato bene: chi sono i nomi di quest’anno e quali sono le prospettive per questi nomi
“Noi abbiamo preparato Davide Valenziano, classificato terzo al Campionato Ibrik. Una new entry nella nostra scuola, volenteroso e appassionato. Il prossimo anno sicuramente si metterà in gioco ottenendo risultati migliori.
Poi un giovane veterano, Giacomo Vannelli, per la terza volta campione italiano. Ora i giochi si fanno seri per il Mondiale di Boston ad Aprile, in quanto grande professionista. Io sono fiducioso. Soprattutto se riusciamo a costruire un team solido che sostenga questo campione per emergere a livello mondiale.”
Giacomo Vannelli ha parlato a lungo della sua preparazione e il suo manifesto per il campionato italiano barista. Per il mondiale però riparte da zero
“La sua è stata una bella intuizione. E’ stimolante quando durante la preparazione in accademia avviene una sorta di illuminazione da qualcosa di semplice. Poi supportato dalle analisi scientifiche in laboratorio.”
Proprio Vannelli ha insistito sulla semplicità dei passaggi e degli elementi in gara
“Sì. La semplicità è stato il tema della sua performance. Abbiamo tagliato tutto ciò che era superfluo. Basta con le attrezzature iper tecnologiche. Il concetto era quello di riuscire a replicare una performance vincente con ciò che un barista potrebbe avere a disposizione nel suo coffee shop.”
Qual è il messaggio al barista di oggi?
“Si può fare bene con poco se si ha la conoscenza giusta. L’importante è essere informati e soprattutto formati. Ormai senza formazione se si vuole emergere, non si può procedere.”
Che differenza c’è tra il formare un barista e un campione?
“Oggi non c’è nessuna differenza. In Italia quando si parla di bar e caffetterie, si pensa subito a volumi enormi, dieci chili di caffè al giorno. La nostra formazione non è influenzata da questo aspetto. Forniamo le basi per estrarre un espresso eccellente, al di là della quantità preparata. Se un barista ha le capacità tecniche e la conoscenza del prodotto, il gioco è fatto. Come diceva il mio amico Roberto Pregel:”Farlo bene o farlo male, ci si mette lo stesso tempo.”
Quando Lattuada partì con la 9bar in una palazzina nel cortile della febbrica di macchine Brasilia, con l’intuizione di Roberto Pregel, forse era l’unica scuola di caffetteria in Italia
“E’ stata la prima effettivamente. Io ci ho creduto e Roberto mi spiegò il suo progetto, frutto dei suoi viaggi in cui aveva raccolto informazioni su queste realtà negli altri Paesi. Abbiamo condiviso questa illuminazione.”
Non ci sono ora troppe scuole di caffetteria?
“E’ giusto che ci siano. E’ logico che solo i migliori riusciranno ad andare avanti. Ovvero coloro che ti lasciano qualcosa. Se non riesci a trasmettere niente allo studente dell’accademia, allora non hai fatto bene il tuo lavoro.”
Per il futuro?
“Implementare il nostro pacchetto corsi. Da quest’anno abbiamo inserito anche il marketing-management e quello di Coffee in Good spirits. Il primo è stato richiesto dagli stessi frequentatori perché ormai si sente l’esigenza di comprendere l’importanza della gestione dei locali, per trarne dei profitti.
Il secondo invece l’abbiamo pensato perché l’altra frontiera è quella di impiegare il caffè trasversalmente. Anche come aperitivo e alternativa ai classici cocktail ora proposti nei bar.”
Lattuada proviene dal mondo della mixology
“Sì. Tempo fa avevo provato questo ambito ma i tempi non erano maturi. Penso che oggi, grazie al fermento e alle competizioni che mettono in mostra i bartender più competenti, ci siano delle buone basi di lancio per questo nuovo aspetto.”
Un’ultima riflessione da Lattuada
“Sicuramente questo mondo è pieno di persone interessate che a volte magari esagerano. E’ necessario forse tornare con i piedi per terra. Non sto invecchiando, ma non voglio spaventare le persone, piuttosto attirarle. Quindi dobbiamo essere inclusivi, attraverso la semplicità e concetti forti per portare da noi le nuove generazione di baristi.”
Un ambiente un po’ troppo sofisticato?
“Sì. Dobbiamo rendere il percepito come qualcosa di reale. Se il barista che non sa nulla di quello che è il nostro mondo, incontra persone che iniziano a parlare in maniera sofisticata e a criticare il lavoro altrui, è ovvio che scappa. Noi invece vogliamo prenderli e farli crescere con noi senza alcuna esclusione.”