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venerdì 22 Novembre 2024
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Fociani: “Specialty? Aprire il bar Faro è stato affidare le speranze a un mestiere”

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MILANO – Dario Fociani contitolare del Bar Faro caffè specialty di Via Piave 55 a Roma. Quest’anno Fociani si è distinto posizionandosi al secondo posto come miglior barista dell’anno ai BarAwards 2018 di Bargiornale. La nicchia degli specialty è ben guidata, in tutti i sensi, dall’attività di Fociani, assieme ai suoi soci Arturo Felicetta e e Dafne Spadavecchia.

Bar Faro: un nome che già fa pensare a una guida nel mondo dello specialty. È questa la filosofia del locale?

“Faro è un nome che ci è piaciuto da subito fra i potenziali che erano emersi in qualche meeting. Pensavamo fosse una parola corta, un nome facile da ricordare e facile da pronunciare in qualsiasi lingua. Che poi avesse anche dei significati metaforici abbastanza evidenti che rimandassero un po’ all’idea che volevamo sposare con questo progetto: la solitudine e l’approdo, la luce; la chiarificazione degli scenari e della filiera che si celano dietro il semplice prodotto caffè. Infine, essere una sicurezza per il cliente a 360 gradi.

La filosofia del locale è un po’ quello di sposare una visione politica del mondo; fondamentalmente l’economia è la materia che più incide nelle persone e nelle loro riflessioni sociali. Quindi, aprire una caffetteria specialty voleva dire un po’ comunicare i propri ideali, raccontare la propria idea di mondo e di vita; affidare le proprie speranze a un mestiere.”

Quando avete deciso di puntare su un settore che, nonostante i più recenti trend, è ancora di nicchia?

“Credo che perlomeno da parte mia sia stata una scelta naturale, conseguenza delle circostanze lavorative in cui mi ero trovato e che poi avevo scelto di continuare per puro piacere, seppure di nicchia credo che lo specialty abbia un alto potenziale commerciale. Come qualunque settore elastico e di qualità  credo avrà in futuro, perché le persone sono più consapevoli dei loro acquisti rispetto a qualche anno fa.

C’è ancora tanta ignoranza e disinformazione, ma il settore gastronomico sta ridando qualche speranza all’artigiano. Io lavoravo nel settore del caffè da sei anni quando ho aperto Faro e la passione sviluppata era ormai troppo concreta per poter pensare di fare altro nella vita, Faro è stato il risultato di un effetto domino di esperienze di tre diverse persone, la mia e i miei due soci, Arturo Felicetta e Dafne Spadavecchia.”

La vera sfida è quella di educare il consumatore più giovane, oppure quello più anziano?

“La vera sfida è trovare il giusto prodotto per qualsiasi persona entri da Faro, mantenendo la propria linea di pensiero, sconsigliando lo zucchero; comunicando la bontà agricola del prodotto. Infine, mostrando la varietà di prodotti di qualità nel caffè specialty.

La vera sfida è piuttosto quella di educare tutti i consumatori a pensare alla caffetteria e al bar come parte della categoria della ristorazione, con il diritto di pretendere serietà ma anche col dovere di fiducia e rispetto per il professionista.”

Da voi lo zucchero è pressoché proibito: e se qualcuno insiste, che succede?

Lo zucchero da noi c’è, ed è anche facilmente individuabile, è presente su tutti i tavoli e due grandi Hario v60 sono piene di bustine ai lati del bancone. Lo zucchero da Faro
è vietato soltanto nel caffè filtro. Negli specialty è altamente sconsigliato, nel nostro caffè della casa, una singola piantagione brasiliana tostata più scura, può addirittura piacere.

Crediamo semplicemente che con alcuni prodotti lo zucchero stia male, non vogliamo prenderci la responsabilità di servire cose che noi non berremmo. Credo sia fondamentale per un professionista mettersi nei panni del cliente.”

È più importante la materia prima, la formazione del barista o l’atmosfera del locale?

“Dipende dalla visione che si ha del mondo della caffetteria. Ad esempio, in caso si debba solo guadagnare, credo che la cosa più importante sia l’atmosfera del locale e a seguire materia prima e formazione.

Se il profitto è accostato a una logica di lungo termine credo che la formazione del barista e la materia prima siano molto più importanti, è naturale che la cosa migliore è avere tutte e tre. Certo è che la materia prima buona senza professionisti formati può diventare materia prima meno buona. L’atmosfera è un quid essenziale per ogni attività di ristorazione.”

E per quanto riguarda la comunicazione di un prodotto specialty?

“Ricordo una scena di un documentario sul caffè di cui però non mi sovviene il nome, in cui un giapponese con una piccola caffetteria, a un certo punto dice: “la caffetteria specialty deve essere sexy“.  Fa sorridere ma mi trovo molto d’accordo, la comunicazione deve essere totale per un caffè specialty, si fa ristorazione partendo dal caffè, dall’ultima cosa. Le altre si dovrebbe dare per scontato che debbano essere di alta qualità, non solo gli ingredienti scelti.

Si fa comunicazione anche con l’arredamento, con la musica, con i bagni puliti e infine con il proprio staff. Questo fa sì che si crei una comunità all’interno della caffetteria, un gruppo di persone che si conosce, sedotto dall’amore per le stesse cose; non solo per il caffè, e si crea una buona atmosfera.”

Il prezzo, è ancora un ostacolo persino in una metropoli come Roma?

“Il prezzo è un grande ostacolo, ma si può superare con la giusta divulgazione del prodotto. La costanza nel servire qualità può spingere il cliente a spendere di più. Certo che siamo vittime della nostra stessa lunga tradizione, sicuramente è più difficile dover
spiegare qualcosa a chi crede già di conoscerla e non sospetta di una profondità che invece è primaria nello specialty.

Ci vorrà un po’ di tempo e sicuramente oggi, a livello imprenditoriale, fare caffè buono è una remissione. Spesso si paga il caffè più dei propri concorrenti diretti e non si riesce ad ottenere il giusto margine di sostenibilità. Proprio perché in concorrenza con un prodotto creduto limitato e singolo. Il caffè è il caffè, nella mente tradizionale, invece il caffè è i caffè.”

Come è la situazione del caffè a Roma? L’offerta è enorme, anche come numero di torrefazioni che è il maggiore d’Italia

“La nicchia specialty è ancora minuscola. La mancanza in questo momento è sopratutto di baristi formati a dovere. Invece le torrefazioni sono tante, così come sono parecchi i professionisti nei vari settori. Tuttavia, al contrario, di persone che abbiano contatto quotidiano con il cliente, da dietro il bancone, pronte a divulgare le proprie conoscenze, ce ne sono ancora poche. Ma la strada è buona, il mercato sa che ci sarà un cambiamento radicale negli usi delle persone; i nuovi giovani, nati nell’era digitale, sono molto diversi da chi li ha preceduti, mentalità completamente differenti.”

E oltre il caffè che cosa offrite nel locale?

“Oltre il caffè abbiamo un’ottima lista di tè, di vini e di birre. Selezionate e “specialty” anche loro. I vini ce li seleziona Giulio Sciamanna, della Wine Broker. E sono soltanto etichette dei “vignaioli indipendenti”, prodotti con un ottimo rapporto qualità prezzo.

Per le birre abbiamo una lista di sei artigianali, che suddividiamo per stili perché cambiano spesso, Pils, Pale Ale, Porter, Lambic/Sour, Bitter e Blanche. Facciamo estratti di frutta fresca e spremute d’arancia, serviamo succhi di frutta 100% biologici senza zuccheri aggiunti né conservanti e serviamo anche  soft drink della stessa azienda come la loro Cola o l’acqua Tonica. Una piccola pasticceria, lieviti di Rami Kozman e una gastronomia fredda completano l’offerta.”

Con un’impronta così originale state già pensando di allargarvi a qualche nuova apertura?

“I prezzi del caffè sono ancora troppo bassi.”

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