MILANO – Per chiudere in bellezza prima della pausa natalizia, ecco l’intervista a Carolina Vergnano. Giovane donna e mamma, responsabile estero e marketing dell’azienda di famiglia, Caffè Vergnano. Con lei, abbiamo cercato di capire il segreto del genere femminile, che riesce con successo a mantenere una carriera all’interno di un grande azienda senza rinunciare a una vita familiare. Due aspetti che molto spesso, quando si tratta di imprese di famiglia, finiscono per coincidere.
Carolina Vergnano, che cos’è per lei il caffè?
“Innanzitutto una passione per il prodotto. Inteso come materia prima che poi viene trasformata in rito vero e proprio. Le sfaccettature di questa bevanda sono quelle che più mi affascinano. Ancor più della materia prima, anzi, mi piace proprio il prodotto caffè. Bere l’espresso: questa è la mia grande passione.”
Potrebbe descrivere il suo mestiere?
“Per l’azienda mi occupo di sviluppare i business per il settore estero. Sono inoltre a stretto contatto con l’ufficio marketing, per gestire i grandi progetti di comunicazione che abbiamo pensato per l’Italia e poi nel mondo. Quindi da una parte svolgo un ruolo, volendo, più creativo, mentre dall’altra, mi misuro più con un lavoro sul campo.
Personalmente, mi piace di più la parte relativa alla vendita, un’attività in cui mi adopero aggiungendo anche un tocco di creatività. Quello che apprezzo di più è proprio il contatto con i nostri clienti. Per tentare di intercettare meglio i mercati, anticipando le tendenze.
Anzi, in realtà potrei affermare che le due mansioni si sposano e spesso si intrecciano. Perché, quando si prende contatto con un cliente, nascono sempre delle nuove idee che ispirano poi l’ufficio marketing. Per cui diciamo che io agisco sia davanti che dietro le quinte. “
Quando ha deciso che il caffè, la cultura del caffè avrebbe potuto essere la sua strada professionale?
“Da sempre, da quando sono nata. A casa abbiamo sempre sentito parlare dell’azienda, perché mio padre portava con sé sia le belle che le brutte cose. Poi, col tempo, la passione di famiglia ha finito per coinvolgere molto anche me. La mia attenzione al dettaglio e al risultato, è cresciuta in me negli anni.
Ho sempre saputo che avrei lavorato nell’azienda di famiglia. Ovviamente, non basta chiamarsi Vergnano per avere un ruolo nell’impresa. Bisogna sapersi ritagliare uno spazio, guadagnandotelo sul campo. La mia famiglia naturalmente ci ha lasciato sempre liberi di scegliere la nostra strada.
Il nostro lavoro non ci è stato mai imposto. Per me è sempre stata una grande opportunità da cogliere.”
E’ stata solo una scelta lavorativa oppure di vita?
“Io ho avuto diverse occasioni, a 23 anni dopo la laurea, di andare a lavorare all’estero. Proprio in quel momento, si è aperta una posizione in azienda. Probabilmente, all’epoca ero anche un po’ inesperta, ma ho comunque deciso di buttarmi proprio nella nostra attività. Magari sbagliando, ma sicuramente con passione.”
C’è stato un episodio particolare in cui ha pensato di non farcela e perché?
“I momenti sono stati diversi in realtà. Quando magari ho perso dei collaboratori che hanno cambiato azienda. Quello è un momento un po’ di sconfitta. Oppure dei particolari momenti di crisi del mercato, con l’ingresso delle capsule e di Nestlé. A quel punto, ho pensato di non esser in grado di reggere la tensione.”
Che cosa direbbe a quella se stessa del passato, in difficoltà?
“Le consiglierei di fare quello che poi ho fatto effettivamente: reagire. Guardando avanti con speranza nel confronto con i più grandi. Il segreto sta lì. Poi, ho la fortuna di poter contare ancora su mio padre, che è sempre attivo nell’azienda. La sua esperienza, è sicuramente una risorsa che dà molto supporto nei momenti di difficoltà.”
E invece, alle giovani donne che vogliono essere protagoniste nel settore del caffè?
“Una parola chiave è: focalizzazione. E’ molto difficile, non tanto in quanto donna, ma in generale, rimanere concentrati rispetto alle diverse fasi della vita. A me ha aiutato l’essere non solo appassionata, ma molto orientata sul lavoro. Per me è un sogno che si realizza. E quindi me lo sono sempre posta, anche oggi, come obiettivo che mi porta ai traguardi più belli. È facile sentirsi in colpa perché magari si sacrificano altre cose. Ma è importante restare fermi sul proprio scopo professionale per ottenere i risultati migliori.”
Descriverebbe la sua giornata tipo?
“La mia giornata inizia con la sveglia delle sei meno un quarto. Preparo subito la moka e accendo una candela rilassante. Da qua parte la prima ora di lavoro che impiego a rispondere alle e-mail e a metter per iscritto le idee che mi sono venute in mente prima. Segue la doccia, accompagno un giorno sì e uno no i bambini a scuola e poi dritta in ufficio sino alle sette di sera. Quando torno a casa, mangio e rientro nel mio ruolo di madre. Senza mai tralasciare però qualche incursione al cellulare sempre per lavoro. Esco poco.”
Pensa che, all’interno del suo ambito professionale, sia stato più difficile, come donna, affermarsi?
“Credo che sia più che altro una barriera che ci mettiamo noi per prime come pregiudizio. Questo è un settore molto complesso, all’interno del quale però una donna si può facilmente adattare. Gli aspetti in cui specializzarsi sono parecchi, per cui l’animo femminile può davvero trovarsi comode tra le tante sfaccettature. La materia è ampia, un po’ l’ideale per il nostro genere.”
Come ha visto evolversi il settore del caffè nel suo ambito specifico professionale?
“Si è sviluppato tantissimo. È in continua evoluzione, c’è sempre qualcosa di nuovo, tra trend, filoni, o modi di interpretare il prodotto. Forse è uno dei settori più dinamici, con più spunti per discutere e innovare.”
Qual è il tocco femminile che aggiunge qualcosa in più al suo lavoro?
“Mi viene in mente come elemento, l’empatia. Una qualità parecchio femminile, che si esprime particolarmente con le persone con cui si lavora. Io spesso instauro delle relazioni stratificate, profonde con i miei collaboratori. Si tratta di uno scambio di idee piuttosto che uno fatto di semplici mansioni.”
Si è appena svolta la prima edizione di The Milan coffee festival: pensa sia stata una manifestazione efficace per la diffusione della cultura del caffè?
“Faccio una dovuta premessa: non ho potuto partecipare di persona all’evento, ma sicuramente l’ho vissuta attraverso le notizie e gli scambi di pareri come quello che è stato pubblicato proprio su Comunicaffè di Maurizio Giuli.
Valuto comunque positivamente qualsiasi manifestazione che in generale dia l’occasione di parlare di caffè. Mi piace infatti l’idea di base che il caffè sia un prodotto democratico. Per cui sono contenta che si sia svolto il The Milan coffee festival.”
La gestione dall’estero di un evento con focus su un prodotto chiave del made in Italy come il caffè
E’ un vantaggio oppure un’occasione che abbiamo perso di valorizzarci da soli? Che possa quindi andare oltre a un discorso più di taglio hipster piuttosto che tradizionale.
“Per la nostra azienda, sono convinta che sia importante anche porsi la missione di valorizzare la tradizione italiana in maniera innovativa. In segno di rispetto alla nostra cultura, molto forte nel nostro Paese. Il The Milan Coffee Festival per me, è stata solo un’occasione per diffondere la cultura del caffè.
Forse il vero limite è quello proprio di aver un po’ trascurato le nostre origini, dal punto di vista della torrefazione e della preparazione in espresso. Per puntare più lo sguardo sui nuovi trend che magari sembrano sul momento più attraenti. Lo specialty e gli altri metodi di estrazione non devono certo esser mettere da parte, anzi, ma andrebbe riscoperta la nostra tradizione. Per trovare un po’ l’armonia tra queste due tendenze. È necessario comunicare le novità così come il nostro core italiano del caffè.”
Un confronto con altre iniziative di questo tipo, come Milano Caffè di ottobre, oppure lo scorso Milano coffee festival del 2018?
“Tra queste manifestazioni non sono in grado di fare un confronto. Piuttosto posso parlare del Turin Coffee Festival. Un incontro che è stato soddisfacente da tanti punti di vista, soprattutto perché è stato democratico. In quanto è andato oltre la questione gerarchica dei marchi. È stata infatti la prima volta in cui Caffè Vergnano, Lavazza e Costadoro, insieme ad altre realtà medio-piccole, si sono unite per comunicare il caffè. L’attenzione si è spostata dal brand trainante alla trasmissione di contenuti. È stato un festival molto aperto e di cultura. Animato insomma dallo spirito giusto che dovrebbe poi guidare tutti i torrefattori, indipendentemente dal marchio. Per raccontare il lavoro che sta dietro la tazzina. I visitatori poi si sono dimostrati particolarmente ricettivi. Gli appuntamenti organizzati dalle aziende hanno raccolto, tra degustazioni e workshop, sono stati sempre affollati. Eravamo tutti sullo stesso piano.“