MILANO – Quello che doveva succedere sta accadendo. Con precisione chirurgica Starbucks sta andando alla conquista dell’Italia. Per ora la campagna è concentrata su Milano ed è affidata al Gruppo Percassi come franchisor. Mentre la Reserve Roastery di Piazza Cordusio 3 è sotto il diretto controllo della sede di Londra del colosso di Seattle. Sull’operazione Italia veglia il neonominato amministratore delegato di Starbucks Coffee Company, Roberto Masi, 54 anni.
Nell’edizione di ieri abbiamo riferito dell’apertura del secondo negozio, quello di Corso Garibaldi. In realtà si tratta della prima apertura di uno store Starbucks classico, come ce ne sono in tutto il mondo, perché quella di Piazza Cordusio 3 è un’altra cosa: una Reserve Roastery come ce ne sono soltanto altre 3 al mondo: a Seattle e Shanghai. Aggiungiamo che quella relativa all’apertura di Starbucks è stata, e di gran lunga, la notizia più letta della giornata.
Roberto Masi interpreta la “colonizzazione” della Sirena americana
Come era previsto nel secondo negozio inaugurato a Milano, e sarà così anche in tutti i prossimi, i curiosi e il pubblico hanno ritrovato – «finalmente» ha detto qualcuno che abbiamo interpellato – la vera identità del marchio della Sirena così come tutti lo abbiamo conosciuto in molte metropoli internazionali. Lunga vita al tanto apprezzato Frappuccino, con tutte le ricette più americane finalmente nel menù del locale.
In proposito ricordiamo che questa notte il contatore del sito media di Starbucks mondo indicava che al momento sono aperti in 78 Paesi 29.324 negozi dove oltre 350.000 partner vestono il grembiule verde. Sì perchè Starbucks ha elevato i suoi dipendenti al rango di partner.
Quindi nel nuovo store di Corso Garibaldi angolo 25 Aprile si può bere il super classico (anche se altamente calorico) Frappuccino, il Cold brew e il White chocolate mocha, oltre al caffè espresso. Tutti serviti anche nel bicchiere di carta, come dappertutto nei locali Starbucks, tranne che nelle Reserve Roastery dove la ceramica è di rigore, tazza nera.
A differenza della Roastery, nei nuovi negozi la tazzina di caffè costerà un po’ meno: 1,30 euro l’espresso tradizionale all’italiana, preparato con una Victoria Arduino VA 388 a tre gruppi; 1,80 il cappuccino sempre tradizionale. Con una sorpresa ristretto agli altri locali, ma non la Reserve Raostery: stesso prezzo o in piedi o seduti.
Il negozio sul confine della Zona Brera ha aperto ufficialmente ieri, 20 novembre
Ed ha una superficie commerciale di 200 metri quadrati: ci lavoreranno 28 partner e tutto, a cominicare da insalate e panini, è preparato al momento al contrario di quanto nel resto del mondo. Ma la carica milanese del colosso di Seattle non è finita perché proseguirà sabato 24 novembre in piazza San Babila, all’angolo con via Durini. Infine, almeno per ora, il 29 novembre verrà inaugurato quello nell’aeroporto di Malpensa, al terminal 1.
In totale Starbucks ha creato 400 nuovi posti di lavoro
Che sono soprattutto giovani, molti stranieri, tra piazza Cordusio – dove lavorano ben 300 partner – e i tre nuovi store formato tradizionale. Ma, come detto, la corsa sfrenata di Starbucks non si arresta. All’inizio del 2019 aprirà anche un locale vicino alla Stazione Centrale, sempre a Milano.
«Abbiamo sottoposto la squadra di 28 ragazzi che lavoreranno nel negozio di corso Garibaldi allo ‘stress test’: (lunedì 19 novembre; n.d.C.) abbiamo invitato a entrare una cinquantina di passanti a sorpresa e offerto loro un caffè, gratis. I giovani hanno reagito benissimo alla tensione». Così ha detto al Corriere della Sera Roberto Masi, nuovo amministratore delegato di Starbucks Coffee company, 54 anni, un lungo corso nel retail.
Masi è stato parte del team che portato l’insegna di supermercati francese Carrefour in Italia negli anni 90 e per un decennio ha guidato il gruppo McDonald’s come protagonista del rilancio della catena di fast food, anche con la nascita dei McCafé: quindi è uno specialista del settore caffetterie.
Adesso Masi ritorna a misurarsi con la sfida dell’espresso
Ha avuto l’incarico direttamente dal Presidente del Gruppo, Antonio Percassi e dal figlio Matteo, gli imprenditori bergamaschi che hanno permesso l’arrivo di Starbucks in Italia e che in passato hanno aperto le porte a Zara, Nike e Victoria’s Secret. Ora sono i franchisor attraverso la newco Siren Coffee degli store tradizionali di Starbucks, anche se hanno un tocco di italianità a cominciare dalla macchina per l’espresso.
Nel nome di Starbucks e su incarico diretto di Howard Schultz, e quando era ancora presidente e amministratore delegato, la famiglia Percassi ha accettato la sfida, assumendo il rischio di impresa nelle vesti di master franchisee. In pratica, individuano i negozi migliori dove proporre espressi, cappuccini e gli altri prodotti del colosso. I caffè serviti? Per l’espresso e il cappuccino la miscela Starbucks prodotta nello stabilimento di Amsterdam. Per altre preparazioni anche il caffè made in Italy torrefatto in Piazza Cordusio. Quindi, a rigore, caffè made in Milano.
Ma per stare a Milano quali sono gli impegni di Starbucks sul capoluogo lombardo?
I numeri sono riservati ma, ha rivelato Masi a Daniela Polizzi del Corriere della Sera, «per essere efficiente (cioè redditizia) una città come Milano deve avere 20-25 negozi. Ma dipenderà da quanto il nostro caffè farà breccia». Volendo azzardare un numero, a Milano il gruppo potrebbe creare 750 posti di lavoro nel caso in cui il piano fosse realizzato integralmente.
La mappa disegnata da Schultz e Percassi prevede aperture a Roma (nella zona del Vaticano), Firenze, Bologna, Verona, Venezia e Torino.
«Apriremo 12-15 negozi l’anno — ha chiarito il manager al Corriere della Sera — Piacere agli stranieri è facile ora ci misuriamo con i gusti degli italiani».
Come ha già fatto nella Roastery di Piazza Cordusio, Starbucks inserirà elementi tipici, soprattutto nella gastronomia ma «arriviamo nel Paese del caffè e del cibo con umiltà e rispetto». Racconta ancora al Corriere Masi, che con Schultz condivide gli stessi valori. Nella convinzione però di essere i più bravi.
Così Percassi ha cercato l’eccellenza anche nel food
E ha trovato a Clusone (sua città natale) un laboratorio artigianale: l’Atelier della famiglia Maringoni che con il supporto di Starbucks ha costruito un centro di produzione. «Replichiamo il modello dell’accordo con Princi per le Roastery», spiega Masi.
Ha preso quindi sempre più forma il sogno di Schultz che ha studiato il dossier Italia per oltre 30 anni. La qualità della miscela sarà alta anche nelle nuove declinazioni di locali: solo Arabica importata da 30 Paesi e dalle piantagioni sostenibili in Costa Rica. E torrefatto a Milano.
Racconta ancora Masi al Corriere della sera
«Ai ragazzi che per quattro mesi abbiamo formato trasmettiamo i valori di Starbucks: rispetto, valorizzazione delle persone, anche nella retribuzione. Godranno di compensi che riflettono il piano azionario di cui beneficiano i dipendenti diretti di Starbucks».
Intanto Masi porta anche avanti con Percassi quella collaborazione con la Fondazione di don Gino Rigoldi per dare un’opportunità ai giovani delle aree svantaggiate: tre ragazzi stanno già lavorando nei negozi con le insegne gestite da Percassi.
La società ha poi stretto un accordo con il Banco alimentare per fornire i prodotti freschi in scadenza agli indigenti della città.
E seguendo l’ispirazione di Schultz gli store italiani avranno un arredo (dai pavimenti ai banconi) che richiama moltissimo i bar italiani più tradizionali, in particolare quelli di Milano.
Quindi il marmo del bancone, i toni caldi e rassicuranti degli arredi, le finiture in legno, bronzo e ottone. Il tutto realizzato sotto la guida di Liz Muller, responsabile del design del marchio e autrice del progetto Starbucks Reserve Roastery di Milano, terzo nel mondo dopo Seattle e Shanghai. In attesa delle aperture a Chicago e New York, dopo Milano.
Si può proprio ben dire che per Starbucks Milano è al centro del mondo.