MILANO – Quattro Executive Mba dell’Università Bocconi si sono uniti in un progetto che andasse oltre l’esperienza formativa dopo il diploma in Sda Bocconi. Il frutto di questo brainstorming è Executive Lounge. Uno spazio di ritrovo, confronto e scambio dove per tutti coloro che intendono il cambiamento come opportunità. Si affrontano diverse tematiche importanti, mantenendo però dei toni simpatici e spesso provocatori. In onda tutti i martedì alle 21 sul sito.
Disponibile anche il podcast completo.
Nella puntata che condividiamo di seguito, si è parlato di caffè, delle sue prospettive future e le tendenze che attualmente stanno trasformando il panorama dei consumi italiani. Grazie alla guida del caffesperto Andrej Godina .
Executive Lounge, con Godina sul caffè 4.0
Il caffè è una bevanda che noi tutti conosciamo. E' molto famigliare e ci siamo cresciuti assieme da italiani, come grandi esperti del prodotto. Ma il caffè 4.0 è in trasformazione, all’estero e in Italia. Stasera abbiamo invitato a parlare di questi cambiamenti uno dei suoi massimi esperti a livello mondiale. E’ il primo Dottore di ricerca in Scienza, Tecnologia e Economia dell’industria del caffè, presso l’Università degli Studi di Trieste. Ha diverse certificazioni, come quella di Barista Master di Sca – Specialty Coffee Assocation.
Inoltre, ha completato diversi percorsi formativi nel campo dell’assaggio tecnico e della tostatura, è un trainer internazionale certificato Sca in tutti i moduli di formazione del Coffee Skills Program. Di fatto nasce come perito merceologo esperto di caffè, iscritto alla Camera di Commercio di Trieste. E’ poi socio di Sca dal 2000, oltre che Presidente di Umami Italia e Umami Area Honduras: ecco Andrej Godina.
Andrej Godina intervista gli intervistatori: che caffè bevete?
Interpellati, i radiofonici hanno risposto quasi tutti che consumano preferibilmente il caffè in capsule. Solo uno di loro si è definito un consumatore “vintage”, legato tradizionalmente alla preparazione con moka. Che Godina stronca prontamente con una serie di argomentazioni tecniche. Concludendo con: “La moka sovreaestrae sempre il caffè”.
Il caffè 4.0 è quindi il monoporzionato?
“Oggi sì, effettivamente la capsula nei diversi materiali va per la maggiore. Questo per il fatto che stiamo anche noi perdendo il legame alla tradizione della moka e al suo gorgoglio. Attenzione che, quando si avverte questo rumore, significa che si sta sovraestrando quindi la bevanda in tazza sarà amara, astringente e con aroma bruciato.
Preparare un caffè buono in moka è difficile, per come il Signor Bialetti ha pensato questo strumento. L’;acqua che sale attraverso il caffè, supera il punto di ebollizione e spesso, soprattutto se si forma la tipica montagnetta nel filtro, questo determina un rallentamento nell’uscita del caffè e sovraestrazione. Quindi in tazza emergono amaro, astringenza e aroma di bruciato. Se poi si aspetta il gorgoglio, o la coda di estrazione, si versa proprio la parte peggiore della bevanda.
Per una preparazione corretta, ci vuole innanzitutto il caffè raso. Bisogna poi mettere a riscaldare l’acqua prima di metterla nella caldaia, in modo da limitare il tempo di riscaldamento ed erogazione. Inoltre, quando si giunge a metà dell’erogazione nella parte superiore della moka, si deve togliere dal fuoco.”
Viaggio nella playlist di Andrej Godina
“Dall’Honduras all’Indonesia. Le differenze si sentono. Il bello del mondo di caffè è che ogni Paese d’origine, produce un profilo sensoriale in tazza diverso. Quindi, se provassi ad assaggiare un caffè dall’Indonesia, uno dell’Etiopia e uno del Brasile, alla cieca, io sono in grado di distinguerli. Il primo avrà un profilo più speziato, più corposo e un po’ più amaro. Il secondo sarà fruttato, floreale, meno corposo e più acido, estremamente dolce. Il Brasile invece ha il tipico flavour di bakery, quindi pan tostato, biscotto con gocce di cioccolato, un po’ di nocciola tostata, buon corpo e un retrogusto complesso.”
Perché per gli italiani un caffè è solo un caffè e invece per il vino abbiamo pretese gustative diverse?
“Io credo che la disgrazia sia, forse esagerando, che noi prepariamo il caffè con il metodo espresso. L’espresso richiede storicamente, la miscelazione di caffè che provengono da diversi Paesi. Quindi il torrefattore italiano, da più di 100 anni, ha iniziato a miscelare il caffè dell’Indonesia, dell’Etiopia, del Brasile ecc. In questo modo la tazza è stata snaturata dal punto di vista delle singole origini.
In più, soprattutto al Sud, la tostatura è molto scura e quindi il chicco di caffè viene quasi bruciato. Così nelle nostre tazze è l’amaro il gusto che si sente per la maggioranza. Così il caffè è diventato questa bevanda piatta, amara e alla quale ci siamo abituati.”
Lei è sommelier del caffè?
“Sì, più che altro sono un caffesperto. Sono un po’ come l’;enologo in cantina. Di conseguenza viene richiesta spesso la mia consulenza. Il sommelier stappa la bottiglia, annusa. L’enologo in cantina contribuisce invece a creare il vino. Partendo dal singolo ingrediente è in grado di determinare il risultato del prodotto finale che poi passa dal sommelier.
Quindi, l’enologo del caffè, come funziona?
“Innanzitutto esistono delle norme di condotta dell’assaggiatore in fase di assaggio in laboratorio. E’ vietato ad esempio l’utilizzo di deodoranti, profumi, dopo barba e dentifricio aromatizzato. Sicuramente ciò che aiuta l’assaggiatore di caffè a riconoscere gli aromi è la pratica quotidiana e per pulire il palato tra un assaggio e l’altro si usano i chicchi di riso soffiato. Il problema infatti, è che il caffè espresso è ricco di oli. Con la saliva questi non vanno via e per togliere questa parte lipidica dal palato l’acqua non basta quindi il riso soffiato è lo strumento migliore.”
Come Andrej Godina si è avvicinato al caffè
“A Trieste c’è uno dei porti di sbarco di caffè verde più importanti d’Italia. Mio nonno ha iniziato, negli anni ‘50 a Trieste, la sua attività di perito merceologo. La stessa che poi mio padre ha ereditato e io a 18 anni ho proseguito: all’epoca desideravo fare l’Università e perciò ho avuto bisogno di trovare un lavoro entrando nell’attività di famiglia.
Quindi ho aperto la partita IVA e ho iniziato ad affiancare mio padre nel suo mestiere. Andavo nel porto, ad assistere allo scarico di container del caffè che arrivavano da tutto il mondo. Osservavo i facchini che scaricavano, prelevavo un campione e in ufficio e controllavo la qualità chicco per chicco tramite un’analisi visiva, individuavo gli eventuali difetti e poi valutavo la qualità.”
E il percorso com’è continuato?
“Mi sono appassionato al caffè quando ho frequentato un corso dell’Associazione caffè Trieste e successivamente quando ho ottenuto una borsa di studio per il Dottorato di ricerca che abbiamo già menzionato, proprio sul caffè. La mia ricerca riguardava l’analisi sensoriale del caffè espresso e di come il consumatore medio percepisce la qualità della bevanda.
Così ho avuto modo di confrontarmi con la qualità media offerta in Italia constatando che in genere è di scarsa qualità. Il percorso accademico del dottorato mi ha dato l’opportunità di crearmi un bagaglio di conoscenze e know-how sul caffè che poi ho voluto mettere a disposizione di altri. Quindi ho iniziato a formare gli operatori di settore con i corsi di specializzazione della Sca, in Europa e in Italia. Fino a organizzare campus nelle piantagioni dei Paesi di origine.
Gli Umami Coffee Campus sono viaggi di formazione in piantagione dove il partecipante vive in prima persona le fasi di raccolta e di lavorazione di caffè e ha occasione di conoscere il farmer. Inoltre organizzo corsi di assaggio alla brasiliana, corsi di tostatura e controllo qualità del caffè verde. Il prossimi campus si svolgeranno in Honduras in Novembre, a capodanno e a febbraio 2019.”
Tornando in Italia. Tolta la moka e tolta la preparazione espresso: qual è la tendenza attuale?
“Nel mondo, non tutti sanno, che il primo metodo utilizzato per preparare il caffè è quello a filtro. La macchina a filtro che si vede ovunque nei film americani rimane il metodo di estrazione principe ovunque e ora giunge anche in Italia, per fortuna. L’espresso va bene ed è il miglior metodo per estrarre tutto quello che di buono c’è nel caffè tostato. La bevanda espresso è quella maggiormente complessa da un punto di vista chimico, molto di più di un buon bicchiere di vino. Purtroppo allo stesso modo l’espresso può far emergere anche tutti i difetti presenti nella materia prima che il torrefattore può aver acquistato risparmiando sul prezzo di acquisto.
Io premio invece il metodo di estrazione napoletana. Perché è un metodo di estrazione in cui posso controllare la temperatura dell’acqua in erogazione che mi permette di non sovraestrarre la bevanda. In più, è un metodo a percolazione, come il metodo a filtro. Nel caso della napoletana, per gravità, l’acqua passa attraverso la polvere con un giusto tempo di erogazione.
I metodi a filtro producono una bevanda più leggera, più voluminosa e permettono di degustare il caffè in un tempo più lungo rispetto alla preparazione in espresso che impiega dai 20 ai 30 secondi con un volume in tazza molto più corto. Il caffè filtro e la sua preparazione è molto di più un rito e che permette di preparare una bevanda più da “meditazione”.
Attualmente si riscoprono quindi altri metodi di estrazioni nelle postazioni slow bar di alcuni specialty coffee shops: Chemex; Hario V60, areopress, filtro, Syphon."
Zucchero nel caffè: si o no?
“Un caffè di qualità rimane di qualità anche se dolcificato. Quindi si possono creare delle bevande dolcificate a base di caffè espresso, nella misura in cui quest’ultimo è di qualità naturalmente. A volte mi piace bere un caffè espresso per esempio dolcificato con il miele di tiglio.”
Quando creerà la forma di tazzina perfetta?
“Io sfortunatamente non sono un designer e per fortuna sul mercato nel corso degli anni molti designer hanno realizzato tazze uniche dall’ergonomia incredibile.”
Qual è il futuro del comparto del caffè in Italia, quel 4.0 che abbiamo annunciato all’inizio della trasmissione?
“Secondo me quello che succederà in Italia nel mondo del caffè sarà un mix tra ciò che è accaduto per il mondo del vino e dei micro birrifici artigianali. Immagino (e sogno) una caffetteria che sia come un’enoteca dove poter ordinare e degustare caffè di marche diverse, miscele e monorigine; affianco spero di poter veder nascere una miriade di microtorrefazioni, al modello dei microbirrifici artigianali.
Questo sta già accadendo all’estero e anche in Italia dove tanti giovani baristi dopo aver seguito qualche corso di formazione sulla classificazione del caffè verde e sulla tostatura decidono di aprire una nuova attività.
Il futuro che ci aspetta spero che ci riservi grande qualità in tazza, tanta scelta nei bar per la somministrazione, maggiore differenziazione di prezzo. Credo che non sia più possibile accettare un prezzo della tazzina al bar di un’euro: un caffè espresso non è semplicemente un caffè ma necessita di una differenziazione tra Arabica, Robusta, differenti miscele, differenti monorigine.
Io voglio degustare un caffè che ha un aroma di pepe bianco, o di chiodo di garofano o di cardamomo e quindi sono disposto a pagare di più per averlo.”