MILANO – Durante la seconda giornata che ha caratterizzato la manifestazione dedicata al chicco, MilanoCaffè, abbiamo raccolto presso lo grande spazio messo a disposizione di Bwt in Via Vivaio 8 in pieno centro, l’intervento di Davide Cavaglieri, Campione italiano Baristi 2018. Proprio questo professionista di livello, ha aiutato a capire che cosa significhi dare valore al caffè, raccontare una storia.
Davide Cavaglieri sulla conoscenza e formazione degli operatori
“Ho deciso di parlare di questo aspetto perché ho assistito a una crescita esponenziale della divulgazione della cultura del caffè. E, di conseguenza, della necessità di formazione dell’operatore. Quindi l’importanza di sapere come preparare un filtro, l’espresso; come conoscere la materia prima e le attrezzature e tanto altro.
Oggi, il consumatore comincia ad affacciarsi al mondo del caffè di qualità. Quindi adesso, il barista deve saper raccontare la tazzina, il suo stesso valore. Cercando di comunicare al cliente, con parole semplici e piacevoli, quella cosa in più che giustifica il prezzo più alto. Così da capire come e perché preferire un caffè piuttosto che quello che abitualmente assume.
Ogni prodotto ha il suo valore aggiunto, considerata la sua provenienza, l’azienda che l’ha lavorato e, soprattutto l’aspetto gustativo. Far cioè comprendere al cliente che quella tazzina è unica, al di là dell’operazione di marketing, in quanto potrebbe scomparire nel giro di un mese, è essenziale. Nel giro di un anno potrebbe non trovarsi più sul mercato. Dare unicità a una tazzina di caffè è servirla in quanto bevanda potenzialmente irripetibile. Queste potrebbero esser le armi da utilizzare per giustificare il costo dell’alta qualità.”
Qual è l’opinione più diffusa tra i suoi studenti e colleghi per quanto riguarda il prezzo
“Quello che percepisco io dalle diverse attività nei locali con cui collaboro è che, quando è presente una giustificazione gustativa, di presentazione e professionalità, il costo supera l’euro e dieci. Il cliente si sente coccolato e servito in un modo che stupisce la sua abituale esperienza di consumo.”
E’ così dappertutto?
“Sicuramente non è un discorso applicabile su tutto il territorio nazionale. Questo perché ancora ci stiamo costituendo come alternativa solida. E’ chiaro che, se ci limitiamo a dire che un caffè è diverso e lo facciamo pagare a un euro e cinquanta, apriremo la via solo alle contestazioni.
Per questo io consiglio sempre ai miei colleghi di non porre la questione dal punto di vista del prezzo. Perché è un parametro piuttosto oggettivo, un po’ limitata rispetto a un valore che va oltre l’impressione di vivere un’esperienza particolare. Il prezzo potrebbe variare dai due ai 5 euro a seconda del filtro. Però dobbiamo fare la valutazione attraverso tutti gli strumenti che quel determinato caffè offre.”
Starbucks vende a un euro e ottanta. Cosa significa?
“Tantissimo. Non voglio parlare di qualità, ma dell’esperienza che ho vissuto nell’entrare nella roastery. L’impatto che si ha nello store è molto forte. Già entrando non ci si chiede quanto costerà, ma cosa si potrà sperimentare. Non tutti possono permettersi un tale investimento, ma di certo il personale era competente. Mi ha spiegato ogni passaggio durante il servizio. Un euro ottanta: è poco, è molto? Non lo so. Per me è stato importante ciò che mi è rimasto dentro dopo che avevo pagato.
Certo un euro e ottanta è un prezzo giustificabile rispetto all’investimento che hanno operato in termini di formazione, di attrezzature e altri parametri.”
Il caffè era buono?
“Sì. Mi aspettavo un prodotto diverso. Ho bevuto un monorigine brasiliano naturale: non aveva un esplosione di flavour, ma di certo gradevole.”
Cambierà qualcosa in Italia?
“Io me lo auguro. Al fine che tutti i baristi percorrano la strada di divulgazione che ha dato il via la roastery. Di cambiare l’approccio della caffetteria italiana, per considerare l’operatore più di un esecutore.”
Quali le reazioni di fronte al rincaro dei prezzi?
“Gran parte del pubblico, ancora per qualche anno, contesterà questo fenomeno. Tuttavia, non dobbiamo aver paura di continuare su questa strada. L’euro e cinquanta applicato in uno dei bar che frequento, sta presto per cambiare verso i due euro a tazzina. Perché la percezione è stata quella del cambiamento proprio da parte della sua clientela verso un salto di qualità in termini di prodotto e quindi poi di prezzo.
Questo locale chiaramente lavora in questo senso da tempo e i suoi clienti sono fidelizzati. E’ stata una strada un po’ in salita come altri, tipo Francesco Sanapo. Ma non si sono mai tirati indietro.”
Che dire di chi il prezzo non lo aumenta, abbattendo il costo della materia prima?
“Io lo reputo un errore clamoroso. E’ difficile giudicare questa scelta degli imprenditori, perché è vero che le spese sono aumentate. A mio giudizio, se il titolare investe nella sua professionalità, non può permettersi di esporsi alla clientela con una materia prima di basso livello, per rientrare nei costi.
Perché, se il caffè è il mio prodotto di punta, i tagli devono avvenire in altri scompartimenti. Tutti noi baristi siamo consapevoli delle difficoltà di aprire e gestire un’attività. Tuttavia, soprattutto chi parte con l’idea di fare caffè di qualità, non deve temere il prezzo medio.
Perché la qualità va pagata e non solo in termini di materia prima, ma anche di formazione. I costi per esser più professionali, devono esser considerati all’interno del budget. E per potenziare le competenze senza sforare, si deve ammortizzare con un maggior costo della tazzina.”
Il consumatore che legge un prezzo più elevato, automaticamente percepisce come migliore quello venduto a un euro e cinquanta piuttosto che a un euro?
“Idealmente sì. Purtroppo però non è così automatico. Il consumatore oggi ha due possibilità: fidarsi dell’operatore oppure possedere un po’ più di conoscenza per comprendere se il prezzo è giustificato dall’impiego di una materia prima più di qualità.
Di certo inviterei a non scegliere automaticamente il caffè più costoso, ma interrogare il barista. Se si dimostra competente, allora è giusto valutare così la tazzina.”
In un bar dove il caffè è cattivo, avrebbe voglia di dire “se lo tenga?”
“Non mi piace espormi in questo senso con baristi che non conosco. Perché rispetto in ogni caso il lavoro di altri. Anche perché, a volte, in alcuni locali la scelta di non puntare su materia prima di qualità, ha ragioni dietro che non condivido, ma che certo comprendo. Di fronte invece a caffetterie specialty e conosco il proprietario, ho fatto presente la mia opinione.”