MILANO – Per le Donne del caffè, protagoniste della Giornata internazionale del caffè 2018, ci siamo confrontati con una delle artiste della Latte Art che hanno portato luce a questa disciplina nel mondo e soprattutto, in Italia. Abbiamo parlato con Chiara Bergonzi, tre volte finalista ai mondiali di LatteArt e seconda classificata al modiale Wlac (World-Latte- Art-Championship) di Melbourne. Reduce dello sforzo recente, che l’ha vista giudice internazionale ai mondiali di Latte Art, di Belo Horizonte, in Brasile. Instancabile docente della disciplina, porta le sue competenze lungo tutto lo Stivale e poi all’estero.
Chiara Bergonzi ricorda il caffè nella cucina di sua nonna
“Sicuramente se devo ripercorrere la mia stora, per me innanzitutto, il caffè è un ricordo legato a mia nonna che dopo pranzo, dopo la scuola, metteva sempre su la moka. Ad oggi, per tanta gente ha lo stesso valore: un po’ una forma di incontro con un amico, oppure un appuntamento di lavoro. Per me adesso è soprattutto una grande passione e una materia prima di grande importanza, attraverso la quale mi impegno molto a fare cultura sia tra i baristi che formo, sia, in particolar modo rivolgendomi verso il consumatore.”
Potrebbe descrivere il suo mestiere?
“Ion realtà mi occupo davvero di tante cose: in primis sono legata molto al mondo della formazione, in qualità di trainer per tutti moduli Sca (il coffee introduction, barista skills, il sensory il brewing e dal prossimo anno anche il Roasting). Oltre che per tutto ciò che riguarda la Latte Art. Ma non solo. Faccio anche la consulente per le aziende o per start up di coffee shop. Infine faccio la Roaster per la Lot zero, un brand che condivido con le sorelle Mauro. Assieme, produciamo artigianalmente solo specialty coffee.”
Quando ha deciso che il caffè, la cultura del caffè avrebbe potuto essere la sua strada professionale?
“Ho iniziato per puro caso a 18 anni, con l’apertura di una mia attività. Il classico bar che ho tenuto in piedi per quattro anni. Dopodiché, a 22 anni, l’ho venduto e sono passata alla gestione di una boulangerie francese, tenendo in mano un banco bar piuttosto importante dove ho lavorato per due anni, imparando anche alcuni aspetti amministrativi.
Nel 2010-2011, ho iniziato a capire che il caffè era davvero la mia strada. Questo perché mi sono appassionata attraverso un corso di Latte Art con Luigi Lupi. Ho iniziato ad assistere alle prime competizioni. E’ stato allora che ho compreso che era quello che volevo fare nella vita. Io inizio nel 2004 come barista. Tuttavia, posso dire che solo nel 2011 ho realizzato che quella sarebbe stato il mio percorso professionale.”
E’ stata solo una scelta lavorativa oppure di vita?
“E’ stata sia una scelta lavorativa che di vita. Al primo posto nella mia vita ovviamente, c’è mio figlio e appena dopo il lavoro. I miei impegni sono tutti indirizzati per il benessere di Edoardo e per fare progressi nel mio campo. Li amo più di ogni cosa al mondo.”
C’è stato un episodio particolare in cui ha pensato di non farcela e perché?
“Devo dire che, fortunatamente, non ho mai avuto un momento in cui ho pensato di non farcela. Nel senso che sono molto tenace e sulle cose che mi appassionano metto tutta la mia forza. Quindi non ho mai avuto un momento negativo. Anzi, l’esatto contrario.”
E invece, alle giovani donne che vogliono essere protagoniste nel settore del caffè?
“A loro, vorrei dire: è logico che bisogna capire innanzitutto con quale ruolo vogliono partecipare all’interno del settore. In tutte le professioni poco tradizionali, è necessario far conto di dover un po’ sgomitare.
Se ci si accontenta, la strada è più semplice. Se invece si hanno grandi ambizioni, allora bisogna dedicarsi completamente e avere grinta. Dipende tanto dal carattere. Bisogna porsi diversi obiettivi. Oggi c’è una gioventù che è particolare: la trovo poco educata. E’ necessario invece mantenere i piedi per terra e distinguersi per i sani principi.”
Pensa che, all’interno del suo ambito professionale, sia stato più difficile come donna, affermarsi?
“Io non ho una giornata tipo. Nel senso che variano tanto. Canonicamente, quando lavoro a Milano o a Piacenza, mi alzo alle sette e porto mio figlio a scuola. Poi vado a fare training. Rientro a casa da Milano per le otto e mezza, mentre da Piacenza per le cinque e mezza.
Invece, quando devo spostarmi nelle altre città, allora viaggio in aereo e passo la mia giornata fuori anche durante i pasti. Se invece tosto, vado direttamente in azienda e si impacchetta. Oppure ci sono delle giornate lavorative che trascorro per fare riunioni per gestire meglio le start up e le aziende per cui lavoro. Sennò il mio tempo lo passo tra il telefono e le e-mail.
Poi, facendo anche occasionalmente il giudice di gara, sono in giro per il mondo. Per i campionati in Brasile o a Rimini. Insomma, quelle sono giornate molto impegnative.”
Pensa che, all’interno del suo ambito professionale, sia stato più difficile come donna, affermarsi?
“Onestamente, come donna, non ho trovato difficoltà. Infatti, essere uomo o donna non c’entra: paga la tua professionalità. Quando lavori seriamente e hai un carattere molto maschile, cioè forte come il mio, non è più una questione di genere.
Come ha visto evolversi il settore del caffè nel suo ambito specifico professionale?
“L’evoluzione è stata notevole. Ho visto proprio dal 2011 a oggi, migliorare la formazione tra caffetterie e operatori, pazzesca. Solo nei bar forse si vede poco, ma sempre di più il passaggio verso la qualità e la formazione, è molto veloce. Noi del settore lo vediamo quotidianamente, per fortuna.”
Come intende la giornata internazionale del caffè?
“L’International Coffee Day è un’iniziativa molto carina, un’opportunità per tutti i brand che vogliono promuoversi. La comunicazione della cultura del caffè è sempre una bella cosa. Io lavorerò a Torino con un’azienda. Ma in giro ci sono tantissimi eventi che fortunatamente sono stati organizzati, per parlare di caffè di qualità ai consumatori.”
Qual è il tocco femminile che aggiunge qualcosa in più al suo lavoro?
“Sicuramente se si parla di come allestire un coffee shop, le donne hanno una marcia in più sul gusto estetico. Si è molto più attente a certi particolari. Poi non nego che una bella ragazza che sa relazionarsi, ha una marcia in più in tutti i contesti lavorativi. La presenza di una donna che sa comportarsi e che svolge un lavoro ancora prettamente maschile, è sempre una qualità. Senza però mai scendere nello stereotipo della femminilità per riuscire a ottenere un lavoro. Sono molto contro alla strumentalizzazione di questo tipo.”