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venerdì 22 Novembre 2024
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Zucchero italiano in pericolo: la minaccia dall’estero sulla produzione autoctona

L’appello del direttore generale di Coprob: «Mi aspetto che i grandi utilizzatori comprendano che quello che stanno vivendo è una migrazione totale di margini dall’industria di prima trasformazione, quale siamo noi, alla loro. E comprendano che è molto più sano fare politiche eque, perché oggi il consumatore paga di più le aziende che hanno comportamenti equi e leali, non speculativi di fronte ad un prezzo»

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MILANO – Dalla rivista Gente Veneta, con la firma di Giorgio Malavasi, riportiamo un articolo che getta ombre inquietanti sulle prospettive future dello zucchero italiano. Sempre più minacciato dalla produzione estera, trova la sua prima difficoltà nella fase di coltivazione e trasformazione.

Zucchero italiano: i motivi della crisi

Il rischio è che perdiamo lo zucchero italiano. E che per dolcificare la tazzina di caffè dobbiamo aprire una bustina con su scritto “made in Germany” o “made in France”. Ben che vada…

È lo scenario attuale per quanto riguarda l’agricoltura “made in Italy” della barbabietola e l’industria della prima trasformazione. Da mesi, ormai, chi produce zucchero lo vende sottocosto. Non solo in Italia, ma in tutta Europa.

La causa sta nella fine del regime delle quote produttive

Le stesse che l’Unione europea ha abolito lo scorso anno, dando il via alla liberalizzazione del settore; consentendo così alle maxi-aziende dello zucchero di subissarci con le loro eccedenze.

Il guaio è che cinque grandi aziende – due tedesche, due francesi e una inglese – che insieme si spartiscono l’80% del mercato europeo, sono tentate di andare avanti ancora un bel po’ con questo livello di costi – tanto hanno le spalle grosse – con il non troppo celato intento di ridurre alla fame i piccoli concorrenti.

E, visto che l’Europa non limita una produzione di barbabietole nettamente superiore al fabbisogno, si può andare avanti ancora parecchio con logiche da speculatori.

Il piccolo concorrente italiana si chiama Coprob. Cooperativa produttori bieticoli

È un superstite, visto che solo dieci anni fa, nella Penisola, erano attivi diciannove zuccherifici.

Allora si producevano 1,4 milioni di tonnellate all’anno, più o meno l’80% del fabbisogno dell’Italia. Oggi siamo tra le 250 e le 300mila tonnellate, ovvero proprio la produzione di Coprob; e la superficie coltivata a barbabietola è scesa da circa 230mila e circa 40mila ettari. Per non parlare dei lavoratori: erano 7mila, oggi a fatica superano i mille.

E non è cosa irrilevante il fatto che, continuando così, venga meno lo zucchero italiano

«Il non tutelare il valore agronomico, ambientale e sociale dello zucchero italiano sarebbe miopia. Si tratta dell’ingrediente base dell’industria dolciaria italiana». Lo dice Stefano Dozio, direttore generale di Coprob.

Nei suoi due stabilimenti – quello veneto di Pontelongo e quello emiliano di Minerbio – la Coprob tiene duro: «L’azienda è ben patrimonializzata – sottolinea Dozio.

– abbiamo investito 180 milioni di euro per aumentare l’efficienza e ridurre i costi. Poi abbiamo avviato nuovi progetti, come lo zucchero biologico e quello grezzo, con i primi 150 ettari di barbabietole dedicati… Il problema non è nell’oggi né nel domani, ma nel dopodomani. A lungo andare, la situazione si farà insostenibile».

Il problema è che una tonnellata di zucchero costa, a Coprob, più o meno 400 euro e lo rivende a 350 euro

Da Francia e Germania, d’altronde, lo zucchero parte per l’esportazione in Italia a 260-270 euro la tonnellata. Ovvio che, con valori così sottocosto, non si va tanto avanti. Specie, appunto, se si è piccoli…

«E che beneficia – riprende Dozio – di questa situazione? Gli agricoltori no, il consumatore finale neppure. Perché, a parte il chilo di zucchero comprato al supermarket – che ormai costa meno di 60 centesimi (ma i consumi delle famiglie rappresentano il 15% del mercato) – i consumi più importanti non hanno visto cali dei prezzi».

L’85% dello zucchero prodotto, infatti, viene utilizzato dall’industria delle bevande gassate; da quelle delle creme stile Nutella e da quella delle marmellate. Ma se la Coca-Cola – poniamo – due anni fa comprava lo zucchero a 600 euro alla tonnellata e adesso per mille chili tira fuori solo 350 euro, qualcuno si è accorto che la lattina della bevanda più famosa costi di meno?

L’appello del direttore generale di Coprob

«Mi aspetto che i grandi utilizzatori comprendano che quello che stanno vivendo è una migrazione totale di margini dall’industria di prima trasformazione, quale siamo noi, alla loro.

E comprendano che è molto più sano fare politiche eque, perché oggi il consumatore paga di più le aziende che hanno comportamenti equi e leali, non speculativi di fronte ad un prezzo».

 

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