MILANO – Situato a Napoli, nel cuore antico del Vomero, al 9 di Piazza Fuga, Wapo è stato disegnato dall’architetto Alessandro Castellano. Poi, realizzato interamente con l’impiego di 13 diversi legni, tutti naturali. Una realtà piuttosto particolar per il menù in cui è presente il caffè Kimbo bio Fairtrade. Ne abbiamo discusso assieme con Mario Rubino, co-titolare di Kimbo e titolare di Wapo.
Wapo e Kimbo: la ristorazione e il caffè di qualità napoletani
Da Mario Rubino ci si aspetta sempre l’apertura di un bar o di una caffetteria innovativi. Perché questa volta un ristorante?
“Aprire un ristorante: è il sogno di tanti uomini. come lo è per tanti medici. E poi ancora, aprire un ristorante: è il sogno di tanti cinquantenni, stanchi della solita routine quotidiana.
Aprire un ristorante senza glutine, con cucina prevalentemente al vapore, fusion e gourmet, era infatti il mio sogno. Di uomo, medico e cinquantacinquenne.
Finalmente, dopo tante riflessioni, ricerche, confronti con gli amici professionisti che ho voluto coinvolgere nella società, ce l’ho fatta. Adesso ci aspetta il giudizio del pubblico. Incrociamo le dita.”
Nel nome Wapo Natural food c’è dentro tutto. Ci spiega per bene?
“Il nome esprime e racchiude l’essenza del ristorante, che offre una cucina non usuale che unisce (fusion) la tradizione dell’est asiatico con quella tipicamente partenopea.
Wapo sta anzitutto per far pensare immediatamente alla tecnica della cottura al… “wapore”. Ma W è anche l’iniziale di “wellness”.
Perché la nostra cucina è povera di grassi aggiunti, senza essere mai banale. Ciò premesso, i nostri piatti sono tutti molto saporiti, unici. Ci auguriamo siano capaci di soddisfare anche i palati gourmet.
Wapo infine ha assonanza con lo spagnolo “Guapo”
“Che vuol dire bello, ben riconoscibile, attraente. Infatti l’architettura del locale è curata nei minimi dettagli. La controsoffittatura è fatta interamente da doghe di legno, sagomate a mano, una ad una.
Rappresenta il classico sbuffo del vapore, ma svolge anche una
funzione fonoassorbente, perché rompe l’onda acustica e permette agli ospiti di conversare in intimità al tavolo.
Senza quindi essere disturbati dal brusio di sottofondo. Il legno, soprattutto cedro libanese lavorato a filo di sega, lasciato al naturale, impreziosisce ogni angolo del locale. Creando un’atmosfera calda e avvolgente.
I tavoli, in massello, parlano cinese
Su ognuno di essi, sono riprodotti con la tecnica della tarsia due degli otto trigrammi dei Ching (cielo, terra, tuono; acqua, monte, vento, fuoco, lago).
L’unione di due casuali trigrammi dà vita ad uno dei 64 esagrammi che, nella antica cultura orientale, ha funzione divinatoria.
Una perfetta corrispondenza con “la cabala napoletana”
Sintesi di tutto questo, una porta collocata nella piccola hall d’ingresso, che rappresenta l’animo “natural” di Wapo e mette in rapporto tra loro tredici essenze di legno, con i propri colori e profumi.
La cucina, a vista, si sviluppa intorno a due enormi vaporiere e… mi fermo qui. Perché ci auguriamo che veniate a vedere e,
soprattutto, ad assaporare il nostro eclettico menu.”
Perché per Wapo già si parla di cucina d’avanguardia a Napoli?
In cucina materie prime a chilometro zero?
“Avanguardia perché non è il solito ristorante di cucina mediterranea. Mi sono volutamente allontanato da quelli che sono i caratteri distintivi che hanno fatto grande e riconoscibile nel mondo la cucina napoletana.
Amo le sfide, soprattutto quelle impossibili. Infatti, nella patria della pasta e della pizza, ho bandito il glutine da Wapo. Ma, tengo a precisare, abbiamo sviluppato una proposta di cucina che è assolutamente un piacere per tutti. Dunque “anche” per i celiaci.
Il chilometro zero in città non credo possa esistere
Ma materie prime ricercate e di assoluta qualità, a contatto diretto con le eccellenze del territorio campano, sono la base delle mille prelibatezze preparate dal giovane chef Giovanni Gentile. Con me, ha sposato il progetto, profondendo passione, dedizione e professionalità.”
Il livello della qualità?
“La qualità è per Wapo un valore assoluto. Comunque non sta a me giudicare, ma a tutti quelli che vorranno onorare, con la loro presenza, la nostra cucina.”
E i prezzi di tanta cucina?
“Giusti. Credo che il saper cucinare sia un’arte, e come tale, vada condivisa con tutti e non preclusa, per il prezzo proibitivo, ai più.”
Perché provare Wapo?
“Perché no? In un’epoca di globalizzazione culinaria, provare qualcosa di nuovo, che scontato non è, e magari scoprire che è anche buono potrebbe essere un’esperienza che stimola, in una sola volta, i cinque sensi.”
Perché aperture sempre a Napoli? E Milano, Roma?
“Napoli è la mia città natia, ed è la città in cui vivo; il ristorante è sotto casa: Quindi posso rispondere, senza ombra di smentita, che è “solo pigrizia”.
Comunque mi sto organizzando. Faccio tesoro delle esperienze realizzate in casa e, non appena l’energia necessaria mi avrà nuovamente ritemprato, proverò ad aprire in una
sede a me non convenzionale.”
Versante caffè
Ci sono già, sono previste dopo la fase di start up ricette a base caffè?
“Mi farebbe piacere che il caffè entrasse a far parte della cucina, non solo in forma di bevanda. Per adesso non abbiamo ancora avuto il tempo di sperimentare a dovere: abbiamo dovuto combattere, e non poco, con i lievitati senza glutine.”
Vedremo la pasta al caffè?
“No. Perché quella che oggi è sul mercato, creata in collaborazione con il pastificio Moccia, contiene glutine. Ma stiamo già sperimentando farine gluten free addizionate al caffè, con risultati molto interessanti.”
Caffè a fine pasto: quale marca è stata scelta e quale tipo? In un noto bar vicino si serve Karalis…
“Intorno al ristorante, oltre al Bar Centrale 4.0 che per primo ha utilizzato caffè Karalis, ce ne sono tanti altri che utilizzano Kimbo. Io ho scelto di utilizzare Kimbo Bio-Fairtrade. Mantenendo così inalterato il filo conduttore e la filosofia di Wapo.”
A fine pasto la proposta prevede un menù caffè?
“Attualmente no. Ma, adesso che mi ci fa pensare, è sicuramente un’idea da percorrere.”
E quale preparazione? espresso o cuccuma?
“In un ristorante che unisce due modi di cucinare così lontani, asiatico e napoletano, abbiamo scelto una preparazione del caffè sovrapponibile a quella del tè. Utilizzando la cuccuma e rispettando pienamente il rito di preparazione.
Bisogna attendere e pazientare per bere un caffè “non espresso” ma “quieto”, per godere al meglio del tempo che passa.”
Caffè in ghiaccio?
“Mai. Caffè freddo istantaneo, sicuramente. Come? Con la “cuccuma destrutturata”, un altro modo di preparare il caffè freddo, immediatamente. Senza “annacquarlo” ( cfr. diluirlo) con ghiaccio aggiunto.