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lunedì 25 Novembre 2024
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Paola Goppion raccoglie la sfida Fairtrade: «Un progetto che cresce sempre ma va condiviso»

"Nel nostro piccolo oggi siamo riconosciuti per essere stati tra i primi a proporre caffè con il marchio Fairtrade e molti professori di scuole in visita al nostro stabilimento ci chiedono di parlarne anche agli studenti. Il cambiamento è sempre in atto."

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MILANO – Ecco l’intervista con Paola Goppion, Responsabile Comunicazione Marketing per la Torrefazione Goppion di Preganziol (Treviso). La Signora Goppion è entrata a far parte dell’azienda di famiglia nel marzo del 1985. Da allora, segue gli sviluppi di tutti progetti fondamentali alla vita aziendale.

La sua Torrefazione, 30 anni fa, è stata la prima ad abbinarsi al marchio Fairtrade in Italia. Perché? Come è andata?

“La nostra storia di torrefattori comincia nel 1948. Eravamo quindi già nel mercato da un po’, quando – trent’anni fa –  abbiamo conosciuto i fondatori di Cooperative Terzo Mondo (allora CTM).

È stato da subito un bell’incontro con uomini coraggiosi, pionieri di  un primo importante passo in un mercato diverso; fatto di una consapevolezza che allora era ancora sconosciuta e che ci siamo sentiti di condividere.”

Oggi questa realtà si chiama Altro Mercato

“Che già nel nome dichiara il suo intento: essere un mercato alternativo, corretto, che crea relazioni utili e rispettose delle persone.

I cugini Goppion: da sinistra a destra: Mario, Paola, Sergio e Silvia
I cugini Goppion: da sinistra a destra: Mario, Paola, Sergio e Silvia

Con loro siamo entrati in questa dimensione e succesivamente è nato Nativo. Il nostro caffè proveniente da agricolture biologiche del Centro e Sud America, garantito dalla Certificazione Fairtrade.”

Lei ha seguito da vicino l’evoluzione di Fairtrade nel settore del caffè.

Che cosa è successo e che cosa sta succedendo?

“Succede che dietro Fairtrade c’è l’impegno costante di educare il consumatore ad un acquisto più consapevole. Sia che si tratti di scegliere un abito che di acquistare prodotti alimentari.

È un cambiamento che sta avvenendo piano piano, sostenuto dalla curiosità, dall’informazione, dal passaparola dei consumatori. Un’evoluzione che viene da dentro, senza inseguire grandi slogan o pubblicità.”

Il caffè Fairtrade è una possibilità di ampliare il business per una torrefazione?

“Sì, direi di sì. Perché oltre ad incrementare il valore della produzione, fa crescere anche l’esperienza aziendale. È un caffè che con la sua identità amplia l’offerta e aggiunge valore culturale.

Accanto a questo c’è da dire che è un business che coinvolge un intero sistema: più caffè certificato Fairtrade sto vendendo, più la filiera produce risultati.

Dal coltivatore in origine fino al cliente o al barista tutti sono coinvolti. E l’azienda stessa nel tempo raggiunge risultati in termini di crescita, non solo economica, anche culturale.”

Il barista come reagisce davanti alla proposta di una fornitura Fairtrade?

“Non sempre il barista è informato, in questo caso è nostro compito educarlo. In alcuni casi invece, il barista conosce il prodotto e si rivolge direttamente a noi.

Questo barista è già consapevole della sua scelta, sa che è un caffè che ha una filiera rispettosa del lavoratore. Nello specifico il nostro Nativo proviene anche da agricolture biologiche e anche questo è motivo di interesse.”

E il problema del prezzo?

“Nel nostro caso il costo di Nativo è in linea con le altre nostre miscele per il Bar. Un prezzo adeguato e corretto se si cerca un caffè buono.

Anche nel canale della GDO facciamo in modo di essere in linea con caffè di pari qualità, come quelli biologici. Prodotti che, per essere tali, hanno bisogno di più cure, più manodopera e costi di produzione elevati. Senza dimenticare che anche la stessa certificazione ha dei costi.”

Il consumatore percepisce la differenza del caffè Fairtrade da uno normale?

“Il consumatore percepisce se un prodotto è buono, indipendentemente dal fatto che quel caffè sia certificato Fairtrade.

Crediamo che la qualità vada in parallelo alla certificazione etica, non che siano sinonimi. Quello che si può dire però con certezza è che i piccoli produttori Fairtrade sono seguiti nel loro lavoro.

La certificazione permette loro programmi di riqualificazione e gli investimenti nell’organizzazione che li porta a lavorare di più e meglio.”

All’estero, UK e Nord soprattutto, il caffè Fairtrade è obbligatorio in molte catene e anche caffetterie private.

Perché non accade anche in Italia?

“Ci sono molte cose che in Italia non accadono ancora e cose che accadono in Italia e fuori no. Questa educazione al consumo che ci rende partecipi di uno sviluppo commerciale di altri paesi del Sud del Mondo da noi è arrivata più tardi ed è una sensibilità che si costruisce con il tempo.”

Cresceremo e diventeremo migliori anche in Italia

“Nel nostro piccolo oggi siamo riconosciuti per essere stati tra i primi a proporre caffè con il marchio Fairtrade e molti professori di scuole in visita al nostro stabilimento ci chiedono di parlarne anche agli studenti. Il cambiamento è sempre in atto.”

Secondo Fairtrade il caffè deve crescere ancora, «è una scommessa da vincere».

Lei che strategie potrebbe suggerire a Fairtrade Italia?

“Fairtrade ha fatto molto e sta facendo molto con pochi mezzi e molto impegno. Le persone che lavorano in Italia per Fairtrade sono persone capaci e impegnate.

Suggerirei forse di entrare nelle scuole e creare ancor più momenti di propaganda aperti al pubblico. Si potrebbero divulgare maggiormente i documentari che Fairtrade realizza nei paesi di origine.

Sono racconti veri, molto belli e interessanti, che raccontano le storie dei coltivatori che sono rimasti nelle loro terre e non hanno abbandonato le terre ereditate dai genitori.

Storie di resistenza sostenute dall’aiuto di Fairtrade che ai produttori certificati garantiscono almeno il prezzo minimo per il loro caffè.

Per coprire i costi di produzione e proteggersi nei momenti in cui i prezzi di mercato vanno sotto un livello sostenibile. Un progetto che va condiviso, sempre più.”

 

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