MILANO – Caffè equosolidale, etico, biologico, bird-friendly. Recentemente un nuovo attributo si è aggiunto alle filiere di questo prodotto: carbon neutral. Cioè prodotto in regime di neutralità climatica, con un bilancio netto di emissioni di gas serra pari a zero.
Il tutto comprovato da un rigoroso protocollo di quantificazione, riduzione e compensazione delle emissioni di CO2.
È ormai in letteratura scientifica il case study della cooperativa costaricana Coopedota, la prima organizzazione al mondo, operante nel settore del caffè, ad avere conseguito la certificazione di carbon neutrality, secondo uno standard internazionalmente riconosciuto basato sulla valutazione del ciclo di vita del prodotto (Lca).
La cooperativa, che vanta una storia più che cinquantenaria, conta circa 900 associati. Ha sede a Santa Maria de Dota, ridente località della provincia di San José, nell’altopiano centrale del paese. Un’area di grande valore naturalistico, mecca degli hikers e dei birdwatchers. Siamo nella regione
Certificazione costosa, ma conveniente
Contenuto riservato agli abbonati.
Gentile utente, il contenuto completo di questo articolo è riservato ai nostri abbonati.
Per le modalità di sottoscrizione e i vantaggi riservati agli abbonati consulta la pagina abbonamenti.
Sensibilizzare il consumatore
Sul fronte commerciale, il problema è quello di allargare questa nuova nicchia di mercato attraverso la sensibilizzazione del consumatore finale. Coopedota vende il 50% del suo caffè negli Usa e l’altra metà sul mercato asiatico.
L’attività agricola e forestale incide, a livello globale, per il 24% delle emissioni di gas serra. Per questo, la carbon neutrality diventerà sempre più centrale nell’agricoltura di domani.
Un giorno – sostiene Peter Läderach, esperto climatologo del Centro Internazionale di Agricoltura Tropicale (Ciat) – le aziende dei dovranno indicare l’impronta di carbonio sulle confezioni allo stesso modo in cui fanno già oggi con i valori nutrizionali dei prodotti.