MILANO — In una Italia affamata di risorse finanziarie nessun partito politico ha parlato in campagna elettorale dei 7 miliardi di euro all’anno che si potrebbero recuperare tagliando gli accordi fiscali stipulati dal governo con le multinazionali.
Si tratta dei cosiddetti tax ruling, accordi riservati che permettono alle grandi aziende di ottenere sconti sulle tasse.
Italia al quarto posto in Europa per numero di accordi siglati
Secondo quanto emerso da un rapporto pubblicato dalla Commissione Europea, nel 2016 i tax ruling firmati dall’Italia sono stati 78, dieci in più rispetto all’anno precedente. Cifra che ci piazza al quarto posto in Europa dopo Belgio, Lussemburgo e Olanda. Il fenomeno è in crescita non solo da noi ma in tutta l’Unione Europea dove in un anno sono passati da 1252 a 2053.
La stima sul costo di questi accordi per le casse dello Stato italiano (7 miliardi di euro) è stata fatto dell’economista Tommaso Faccio della Nottingham University Business School. Ma oltre al mancato gettito esiste anche un problema di equità fiscale. Perché i tax ruling non possono essere sottoscritti dalle piccole e medie imprese ma solo dalle multinazionali.
L’Espresso ha svelato il nome di alcuni beneficiari
Come già detto i nomi dei beneficiari sono segreti. Il settimanale l’Espresso è riuscito tuttavia a scoprire che tra le 79 multinazionali firmatarie di un accordo con lo Stato italiano ci sarebbero Michelin, Philip Morris e Microsoft.
Pressione fiscale in calo ovunque per multinazionali
Multinazionali che, secondo uno studio del Financial Times, a partire dalla crisi del 2008 hanno usufruito di una forte riduzione delle tasse praticamente in tutto il mondo. Nei paesi Ocse la pressione fiscale nei loro confronti è calata del 9%. Nello stesso arco di tempo quella dei cittadini è aumentata del 6%.
Sconti fiscali riversati sulle tasche dei cittadini
Il meccanismo attraverso cui si è realizzato il trasferimento di imposte dalle grandi aziende internazionali ai cittadini è stato abbastanza semplice. Il mancato gettito dovuto alla minore tassazione dei profitti è stato generalmente compensato da un aumento dell’Iva che, sempre con riferimento ai paesi Ocse, dal 2008 al 2015 è salita dal un valore medio del 17,6% al 19,2%.
Negli Stati Uniti tasse aziendali tagliate del 40%
Nonostante la crescente diseguaglianza tra ricchi e poveri il fenomeno di trasferimento di ricchezza dai cittadini alle multinazionali (e dunque ai loro azionisti) non accenna a fermarsi. La recente riforma fiscale varata negli Stati Uniti da Donald Trump ha tagliato la tassazione sulle aziende di ben il 40%; la corporate tax è passata dal 35% al 21%.
Meccanismo Iva applicato anche in Italia
Taglio della tassazione aziendale che qualche mese prima degli Stati Uniti ha fatto anche l’Italia, pur se con proporzioni diverse. A partire dal 1 gennaio del 2017 l’Ires (l’imposta sul reddito delle imprese) è stata ridotta dal 27,5% al 24%. Operazione fatta in parallelo al rinvio, a data futura, delle clausole di salvaguardia dei conti pubblici che, come noto, nel biennio 2019/2020 potrebbero costare agli italiani 31 miliardi di euro in aumento Iva e accise sulla benzina, se non si trovano nuove coperture.
Tax ruling dovrebbe entrare nel dibattito politico
Per quanto riguarda gli investimenti in istruzione e ricerca scientifica (solo per citare qualche ambito rilevante per il futuro del Paese) l’Italia segue strade opposte a quelle dei paesi più virtuosi. Sul fronte della tassazione alle multinazionali siamo invece in perfetta sintonia: gli sconti vengono fatti pagare ai cittadini sempre più poveri.
Qualche riflessione in merito andrebbe fatta facendo entrare il tax ruling nel dibattito politico. I cittadini hanno il diritto di capire bene di cosa si tratta e di avere una propria opinione sull’opportunità o meno di portare avanti la pratica. Nelle cose pubbliche, soprattutto fiscali, non ci devono essere aree grigie coperte dalla segretezza.
Michael Pontrelli