TERMOLI – In qualsiasi momento si entri nel suo bar su Corso Nazionale, l’odore di caffè diventa inebriante. Ma per lui che lì dentro ci vive – e ci lavora mattina e pomeriggio – quel profumo quasi non esiste. «Non lo percepisco più ormai, sono assuefatto e non me ne rendo conto».
L’intervista all’uomo che per tutti incarna il caffè di Termoli, non poteva quindi non essere che davanti a una tazzina di caffè, entrambi – tazzina e caffè – rigorosamente caldi «perché è così che deve essere – racconta lui dopo aver servito una tazzina sulla quale il castello di Termoli e il suo cognome campeggiano in maniera stilizzata – caldo il caffè e caldi anche tazzina e piattino».
Che sia mattina presto, primo pomeriggio o ora di cena, nel suo bar la richiesta è sempre la stessa: «un caffè». Dal 1931, data storica di fondazione dell’attività di nonno Salvatore, che ha dato vita alla tradizione artigiana di famiglia in città. Prima con il supermercato e poi con la torrefazione del caffè, ovvero la lavorazione dei chicchi che arrivano dall’altra parte del mondo e diventano la miscela da servire. Poi con mamma Maria, motore della famiglia e anche dell’attività, e papà Luigi, fino alla terza generazione di una famiglia di artigiani con Domenico e Roberto.
Non c’è orario per gustare uno degli aromi della sua attività che in verità Domenico Casolino, 51enne termolese gestisce con il fratello Roberto, di tre anni più grande. Una famiglia di uomini quella Casolino, dove papà Luigi e prima ancora suo padre Salvatore, hanno dato il via alla tradizione artigiana tramandata a figli e nipoti, tutti maschi.
Dal 1996 Domenico, per tutti Nico, lavora dietro al bancone «per necessità», mentre il fratello si occupa della torrefazione in laboratorio e della distribuzione, oltre che di cialde e macchinette. Sposato e con tre figli, Luigi, Claudio e Alessandro, è praticamente l’enciclopedia vivente del caffè, ha letto libri, ha fatto corsi, ha visto programmi a tema. Conosce bene ogni singola proprietà organolettica dei chicchi, le varietà e i gusti, i posti dove nasce il caffè, sa bene le miscele, gli aromi, le caratteristiche.
Lo sa che lei e la sua famiglia a Termoli siete sempre accostati al caffè?
«Si, non credevo potesse essere così, eppure è la verità».
Ha avuto modo di sentirlo?
«In diverse occasioni. Quando per esempio vengono termolesi di origine che vivono fuori città o all’estero addirittura, arrivano e mi dicono che sono venuti a prendere un caffè da me perché gli mancava quello Casolino, oppure alcuni studenti vengono a prenderlo quando possono prima di partire per l’università, o ancora quando scelgono di portarlo quasi come regalo e simbolo di Termoli. Ammetto che mi inorgoglisce questa cosa, sono soddisfatto e motivato anche a fare sempre meglio. Il caffè Casolino è diventato parte della memoria storica di Termoli, alcune persone lo associano a dei loro ricordi personali, tornano con piacere».
Perché dice che per necessità si ritrova dietro al bancone?
«Perché mio padre nel 1996 non è stato bene, così io e mio fratello Roberto siamo stati costretti in un certo senso a rimboccarci le maniche e lavorare nell’attività di famiglia. Ma lo abbiamo fatto volentieri, è pur sempre il nostro lavoro. I nostri nonni, Salvatore e Giuseppina, hanno fatto i sacrifici per dare vita a tutto questo».
Come è nata e come siete arrivati al caffè? Non tutti lo sanno.
«I miei nonni hanno aperto un supermercato nel 1931 sul Corso, nella zona di piazza Monumento, poi qui dove mi trovo io ora su corso Nazionale, questo locale sarà venuto a costare mille lire forse, da quello che ricordo dei loro racconti. Mia nonna si alzava alle 3 del mattino per preparare ceci e legumi. Poi hanno scelto di introdurre il caffè, a quei tempi era un lusso bere il caffè e anche lavorarlo.
Loro avevano acquistato i primi macchinari per la torrefazione, si tostavano con le prime macchine a carbone (che ora campeggiano nel locale in bella vista come veri e propri reperti storici, ndr). Mio padre e mio zio Basso hanno incrementato la torrefazione e da allora la produzione è cresciuta. Nel 1971 hanno aperto un supermercato anche in via De Gasperi, nella zona del Ragioneria per intenderci, e dieci anni dopo è nato anche quello sotto ai portici di piazza Bega, strategico per la vicinanza al terminal bus: lì molte persone anche di paesi vicini venivano a comprare il caffè prima di tornare a casa».
Come avete imparato?
«Abbiamo affiancato papà, negli anni lo abbiamo visto lavorare, abbiamo lavorato con lui. L’esperienza è fondamentale e solo sul campo puoi imparare».
E vostro padre vi controlla?
«Certo, controlla, supervisiona. Entra in negozio e inizia a guardare, poi comincia a chiedere perché una cosa manca o sta in un modo, allora decide che deve essere cambiata.
Ma da anni ormai si dedica anche ad altro, alle rime, ai disegni e poi ha sempre amato la pittura, infatti i tanti quadri che abbiamo in questo negozio sono quelli della sua collezione che ha acquistato dalle varie mostre. E’ lui che ha deciso di inserire il castello sulle tazzine, è un po’ il direttore artistico».
I termolesi come sono come clienti? Siete qui da tanti anni e chi meglio di voi può sapere come è cambiata la città…
«Sono clienti storici, di quelli che sono cresciuti anche con il caffè, vengono qui da sempre, con loro anche i loro figli. Devo dire che anche i più giovani ormai si avvicinano al caffè. Poi c’è sempre quello che fa delle richieste particolari, tipo caffè macchiato, in tazza grande, con latte di soia, ma sono richieste e perciò vanno accontentati. Ma la richiesta più diffusa è quella semplice».
E Termoli? «E’ cambiato il commercio, quello si sente, prima ti dava più soddisfazione, adesso invece la gente tende a spendere meno vista anche la crisi. Noi abbiamo cercato di mantenerci sempre costanti, anche nei prezzi e cerchiamo di non cambiare».
Mai pensato di andare via?
«Il pensiero c’è stato, con l’attività che abbiamo sia il bar sia il laboratorio in un’altra città avremmo potuto fare tanto di più, ma poi non siamo mai andati via perché siamo nati qui».
Come deve essere un caffè buono? Con o senza zucchero? Con latte o senza?
«Dipende dal gusto di ognuno. Io cerco di farlo sempre bene, ogni tazzina è come se fosse per me e se a me non va bene, non va bene nemmeno al cliente, perciò la rifaccio. Può capitare che una non venga bene, anche il clima influisce sul caffè, ogni giorno ne facciamo centinaia».
Con tutti i libri che ha letto, i posti che conosce per via del caffè, c’è qualche luogo dove è andato o vorrebbe andare? «Non sono mai andato, ma mi piacerebbe. Andrei volentieri in Costa Rica, oppure in Brasile, Colombia, Guatemala, Perù. Tutti luoghi dove si coltiva il caffè, almeno potrei vederli dal vivo».
Ci sarà una quarta generazione? «Non lo so, i miei figli non vengono quasi mai qui, solo mio nipote ha imparato a fare il caffè. Devono prendere le loro strade, ma se vogliono venire saranno ben accetti».
Ma nei giorni di festa, quando la famiglia si riunisce, dopo pranzo il caffè chi lo fa?
«Mia moglie di solito, ma se tocca a me lo faccio anche io, non c’è problema, uso la moka ed esce bene…».
di Elena Berchicchi